Chapeau allo sport italiano, ma non al calcio

Oltre a lasciare gli abitanti delle favelas al loro triste destino, altre cose non mi sono piaciute del mondiale brasiliano 2014: l’aver fatto dell’evento calcistico un obiettivo politico ove, a seconda dell’andamento della Selecao, si sarebbe potuto parlare di trionfo o disfatta. Il 7 – 1 subito dalla Germania ha dato l’eloquente risultato. Ma d’altronde, il calcio ormai è questo: una macchina gigantesca di soldi e interessi ove la passione, il rispetto reciproco e altri nobili valori sono ormai in secondo piano. Ne avrei da dire anche sulle scelte di Prandelli, sul fatto che Balotelli è stato l’unico vero scaricabarile del fallimento della nostra spedizione etc., ma rischierei soltanto di allungare il brodo. Quello che c’è da evidenziare in questa storia è che, mentre il calcio – nostro sport nazionale – non fa altro che regalarci dolori su dolori, i cosiddetti «sport minori» ci riempiono di soddisfazioni. Un paradosso alquanto curioso, se si pensa che il calcio gode di una larghissima copertura mediatica e di ingenti finanziamenti da parte del CONI (giusto per farsi qualche idea: http://www.coni.it/it/coni-servizi/bilancio-consuntivo-e-bilancio-sociale.html ) rispetto a tutte le altre attività affiliate.

Andiamo però con ordine: il 23 giugno l’Italia perde contro l’Uruguay 1 – 0 e saluta il mondiale. Le conseguenze sono devastanti: dimissioni del ct Prandelli e del presidente della FIGC Abete, si evidenzia una netta spaccatura tra i giocatori della spedizione (Buffon che difende il lavoro dei più «anziani» e attacca l’operato dei più giovani, la risposta di Cassano etc.). Sulla base di queste macerie si comincia a parlare di futuro. In special modo, nella FIGC spunta la candidatura di Carlo Tavecchio, presidente della Lega Nazionale Dilettanti dal 1999 e vicepresidente vicario della Federazione Italiana Giuoco Calcio dal 2009 (è interessante notare anche la sua fedina penale: 1970 > condanna a 4 mesi di reclusione per falsità in titolo di credito continuato in concorso; 1994 > condanna a 2 mesi e 28 giorni di reclusione per evasione fiscale e dell’Iva; 1996 > condanna a 3 mesi di reclusione per omissione di versamento di ritenute previdenziali e assicurative; 1998 > condanna a 3 mesi di reclusione per omissione o falsità in denunce obbligatorie; 1998 > condanna a 3 mesi di reclusione per abuso d’ufficio per violazione delle norme anti – inquinamento, più multe complessive per oltre 7mila euro). E’ il favorito numero 1 per la successione ad Abete. Avviene però un fatto eclatante: Tavecchio parla di giocatori extracomunitari del nostro campionato che «mangiavano banane», un commento di stampo razzista che ha acceso ancor di più i riflettori sulla questione della Presidenza FIGC. Le macerie aumentano: alcune squadre hanno già sfilato il loro nome dai possibili voti a Tavecchio, la FIFA ha realizzato un severo comunicato con il quale si spinge la federazione nazionale a fare della lotta al razzismo il primo obiettivo della sua attività, pesanti critiche sono arrivate addirittura dalla Commissione Europea. Insomma, il calcio ci sta regalando l’ennesima brutta figura di stampo internazionale. Tutto questo mentre alcuni atleti nelle altre competizioni sportive realizzavano imprese che avrebbero potuto (se solo fossimo un popolo più «elastico») descrivere un’Italia sportiva bella e vincente:

  • a Firenze l’Italvolley conquistava la medaglia di bronzo alla World League 2014;
  • a Kazan la scherma azzurra conquistava 3 ori, 1 argento e 4 bronzi, arrivando prima nel medagliere ai mondiali russi;
  • dal pirata allo squalo: dopo 16 anni dal trionfo di Marco Pantani un italiano, Vincenzo Nibali, arrivava a Parigi vestendo la maglia gialla del Tour de France;
  • nella pallanuoto, setterosa e settebello si classificavano rispettivamente quarto e terzo agli europei di Budapest.

In poche parole: chapeau allo sport azzurro, calcio escluso. E’ forse giunta l’ora di costruire un’immagine sportiva dell’Italia ove non ci sia uno sport al centro di tutto, bensì si valorizzino in maniera equilibrata le tante attività agonistiche che, con meno visibilità e denaro, ci regalano decisamente molte più soddisfazioni e ci pongono all’avanguardia rispetto a tanti altri Paesi.

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