Dopo “Charlie Hebdo”: l’Europa non deve morire

7 gennaio 2015: Parigi si sveglia con il terrore. Uomini armati entrano nella sede del periodico settimanale satirico «Charlie Hebdo» e trucidano 12 persone: 8 giornalisti, 2 agenti assegnati alla protezione del direttore, 1 ospite invitato alla riunione di redazione ed il portiere dello stabile. Il giorno dopo, una poliziotta viene uccisa. Per tre giorni, 88mila uomini delle forze di sicurezza francesi si ritrovano a setacciare la Francia, a spegnere il prima possibile quel clima di tensione creato da pochi pazzi. La vicenda finirà nel peggiore dei modi: un assassino ucciso dopo aver seminato il terrore in un negozio ebraico a Parigi, gli altri 2 fatti fuori dopo essersi barricati in una tipografia. Si capisce fin da subito che gli attentati sono di stampo terroristico. Le reazioni sono varie: sgomento, sdegno, si scende in piazza con le matite in difesa della libertà e di espressione. Ovviamente, non mancano reazioni dal fronte opposto: l’attentato è di matrice islamica; Islam è uguale a terrorismo. C’è chi propone come arginare questa pericolosa minaccia turca: rivedere Schengen, stop all’immigrazione clandestina etc. Alla fine, scopri che gli autori della strage sono cittadini francesi. Dunque persone che hanno la cittadinanza europea, che vivono «dentro» Schengen. L’intolleranza, il razzismo, la xenofobia sono delle brutte bestie, che spesso si cibano proprio con «il sangue degli innocenti». Fosse finita qui: l’Unione Europea (in un modo o nell’altro) c’entra sempre, ovviamente nella parte del colpevole. Peccato sentir dire questo, perchè l’11 gennaio 2015 l’Europa (e non solo) ha saputo dare una risposta bellissima: 4 milioni di persone sono scese a Place de la République per la libertà di satira e per la difesa dei propri diritti. E forse, proprio lì, sono nati gli Stati Uniti d’Europa.

Sicuramente, Ernesto Rossi, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, al momento della stesura del «Manifesto di Ventotene» erano ben consapevoli del progetto che andavano proponendo: realizzare l’unità europea. Detto così, sembra una cosa facile. Invece non lo è affatto: significa unire culture, storie, tradizioni, sistemi giuridici e tanto altro che presentano notevoli differenze tra i Paesi interessati. Da oltre mezzo secolo, l’Unione Europea ci permette di vivere in pace, senza il timore che una crisi economica o la pazzia di qualche governante ci risucchi nel vortice delle bombe e della morte. E’ il periodo di pace più lungo di sempre, cosa impensabile se uno va a leggere i libri di storia: Francia, Austria Spagna e altre nazioni si sono ritrovate per secoli a combattere tra loro per l’egemonia sul continente, ad affermare l’unità del «vecchio mondo» sotto un’unica corona e religione (protestante o cattolica, con la «minaccia musulmana» sempre viva); a scontrarsi in nome di un ideale fascio – nazista (da una parte) e di democrazia e libertà (dall’altra). In pillole: il processo europeo è ancora molto giovane, dunque è normale che continuino ad esserci forti contrasti.

Il problema è che in Italia, l’idea dell’Europa unita è arrivata come un soggetto a cui attribuire tutti i nostri mali: crisi economica? Colpa dell’euro; ci sono stranieri che uccidono? Colpa dell’Europa che accoglie tutti… Insomma, l’Europa in terza persona, come se fosse un organismo di cui l’Italia non è parte integrante.

Razzismo, intolleranza, xenofobia… Tutte parole che, come si dice da sempre, andrebbero sconfitte dicendo la verità, utilizzando la penna e non le armi. Ma, nell’era di internet basta un semplice post pieno di contenuti di odio per renderlo conoscibile a tantissime persone che, nella maggior parte dei casi tendono a non accertarsi della verità, magari verificando e paragonando altri articoli sul medesimo argomento. Così, nasce nel cervello un pensiero distorto, fantoccio: Islam = terrorismo; più immigrati = maggiore delinquenza… Si dirà: basterebbe scrivere online come stanno veramente le cose. Purtroppo non basta: gli articoli che colpiscono la pancia delle persone, per quanto possano essere falsi, tendono ad essere quelli più diffusi, relegando la verità ai margini estremi dell’informazione. Dopo millenni, comprendere che un abbraccio è mille volte meglio di un’arma da fuoco, è ancora molto difficile.

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