EBOLA&IPOCRISIA

Qualche giorno fa Gino Strada, il fondatore di Emergency, a proposito della questione Ebola ha fatto una dichiarazione interessante. In pillole, l’Occidente si sta preoccupando più della paura di un eventuale contagio in Europa ed in America, piuttosto che muoversi per sedare l’epidemia che sta mietendo migliaia e migliaia di vittime. In effetti, se uno ci fa un attimo caso, è proprio così. Il caso Ebola sta diventando l’ennesima dimostrazione dell’ipocrisia occidentale: armiamo l’Isis e poi lo combattiamo, garantiamo stabilità al regime di Gheddafi e poi lo combattiamo. Quindi: conosciamo l’ebola dal 1976 ma ce ne preoccupiamo solo ora. Perchè la questione è stata largamente sottovalutata e ci impone ora ad inseguire per risolvere il problema. Sono le conseguenze del benessere: diventiamo ipocriti, pensiamo solo a tutelare il nostro bene a discapito di altri. Ma, allo stesso tempo, sembra che diventiamo più «fessi». Dunque: l’ebola è un virus che, al momento, non conosce un vaccino (se non quello ancora in via sperimentale prodotto da laboratori italiani). Come qualsiasi tipo di malattia, più questa ha tempo per svilupparsi e diffondersi, più largo sarà il suo raggio d’azione. Quindi, in parole povere: più l’ebola avrà tempo per diffondersi, più aumenteranno le possibilità che possa svilupparsi anche dalle nostre parti. Attenzione però: ciò significa che governi ed organi competenti non devono fare assolutamente nulla, cioè si limitano a guardare o, addirittura, ad ignorare il problema. Fortunatamente, pur con tutti i difetti che hanno, i nostri politici si stanno muovendo. Basta notare che, negli USA e in Francia, si sono avviati i controlli della temperatura corporea a persone che utilizzano voli aerei interessanti le zone colpite. Inoltre, il settore sanitario sta svolgendo egregiamente il suo dovere: alcuni pazienti sono guariti, altri sono stati comunque sottoposti a test risultati poi, fortunatamente, negativi. Certo, ci sono stati i casi in cui la contrazione del virus è stata opera anche di insipienza da parte degli addetti ai lavori (medici che non rispettavano affatto i relativi protocolli). Però, l’attenzione è alta. Domanda: cosa c’entra tutto ciò con il termine «fessi»? C’entra tanto per due motivi: 1) non ci accorgiamo che i casi che si registrano in Occidente sono dovuti a contatti ravvicinati da parte delle «vittime» con le località colpite dall’ebola. Si tratta di zone dal sistema sanitario fragile, ove l’isolamento dei malati diventa più complicato. Inoltre, sono località dal clima caldo, favorevole alla diffusione delle malattie; 2) siamo talmente preoccupati che non riusciamo neanche a comprendere le parole nel loro vero significato. Mi spiego meglio: i telegiornali tendono a darci notizie continuamente aggiornate sull’ebola. Intento nobilissimo, per carità. Ma non ci rendiamo conto che, spesso, alcune notizie non dovrebbero essere date, in quanto portano al solo risultato di aumentare l’allarmismo. D’altronde, un conto è dire: «3 casi sospetti di ebola in Spagna» ancor prima che le analisi abbiano dato un risultato; un conto è aspettare tali risultati e poi dire, eventualmente, che un qualche caso d’ebola è stato accertato. Dopotutto, la gatta frettolosa fa i figli ciechi.

Insomma: cerchiamo di cacciare il coraggio, dimostriamo consapevolezza nel fatto che non siamo già morti. E facciamo nostro quanto detto da Gino Strada e con cui, in maniera non diretta, ho aperto questo post.

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