Grazie a chi se n’è fregato

Le elezioni politiche del febbraio 2013 sembravano il momento per cominciare quel cambiamento che i cittadini italiani ormai da tempo aspettavano. Sappiamo tutti poi come è andata a finire: l’ «esordiente»Movimento 5 Stelle ha fatto il boom di consensi (25%), ottenendo al primo tentativo un risultato simile a quello del Partito Democratico. Il Popolo Delle Libertà invece, non è andato oltre il 21%. A livello locale, il PD si confermava primo partito (36%) davanti al M5S (22%, ma si tenga conto che questa formazione politica non presentava un’organizzazione di attivisti sul territorio). Sia ben chiaro: l’intenzione non è quella di fare una ennesima analisi politica di quanto avvenuto ad inizio anno (anche perchè, per motivi temporali, non sarebbe l’ideale). C’è però da considerare un po’ tutto quello che è successo dopo il 24 ed il 25 febbraio. Il risultato delle elezioni, mescolato alla legge elettorale vigente, aveva portato ad una situazione di assoluta impossibilità per qualsiasi partito o coalizione di formare un governo solido. Era obbligatorio cercare appoggi anche in coloro che, fino al giorno prima, erano stati avversari. Storico ormai è diventato il tentativo di Bersani di dar vita ad un governo di cambiamento assieme al M5S. Anche qui, basta dire le cose in pillole: il movimento ha deciso di mantenere retto il principio della coerenza, decidendo di non allearsi con nessuno partito. Di conseguenza, ecco nascere il governo più inaspettato: Partito Democratico, Popolo delle Libertà, Scelta Civica. Naufragavano definitivamente le speranze di un nuovo inizio (forse la tanto chiacchierata III° Repubblica?). Cori e Giulianello, così come tutta Italia, da quel momento si sarebbero risvegliati con i «dogmi» di sempre: IMU, Silvio Berlusconi con i suoi divertimenti notturni e le inchieste giudiziarie, una legge elettorale che (paradossalmente) fin dal giorno della sua approvazione definitiva si intende cambiare ma (chissà perchè?) non ci si riesce mai ecc. Insomma, tutto come prima. L’unica novità, è la tecnica del rinvio: parli degli F-35? Meglio rinviare a settembre. Parli dell’IMU? Meglio rinviare in autunno. Parli della legge elettorale? Anche questa rinviamola a settembre. Il rinvio è un «segnale di discontinuità con il passato», voluto da un governo di emergenzao solidarietà nazionale, la cui competenza ( a detta di molti) fa concorrenza addirittura al compromesso storico Moro – Berlinguer. Della serie: Silvio Berlusconi = Aldo Moro; Enrico Letta = Enrico Berlinguer. Se Moro e Berlinguer avessero saputo di paragoni del genere, mai si sarebbero sognati di parlare di compromesso storico. Ma come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto? E’ inutile girarci intorno, le responsabilità sono tante e (quasi) tutte ascrivibili nei due partiti principali: Partito Democratico e Movimento 5 Stelle. Il primo ha dimostrato di comprendere sempre meno le esigenze del territorio, con scelte scontate che spesso venivano sostituite da altre nettamente in contrapposizione con quanto richiesto dalla base; le elezioni amministrative, eccezion fatta per Milano, vedevano consegnare Napoli e Palermo ad un’altra ala della sinistra (Luigi De Magistris e Leoluca Orlando), Parma addirittura finiva in mano a Federico Pizzarotti, candidato di Beppe Grillo; alle Regionali una «strana alleanza» con l’UDC portava Rosario Crocetta alla presidenza, seppur con l’obbligo di trovare una maggioranza diversa ad ogni discussione (e in questi ultimi tempi i terremoti all’interno della giunta sono sempre più forti). Soprattutto Parma è il risultato da considerare: il PD non si è accorto (o non ha voluto accorgersi) dell’ascesa continua e rapida del movimento grillino. E poi, ciliegina sulla torta, la campagna silenziosa di Bersani. Dal canto suo, il M5S (nonostante i numeri delle politiche) ha ben poco da festeggiare, vista la posizione di isolamento in cui i suoi deputati sono riusciti a collocarsi. Il M5S è rimasto prigioniero di ciò che sventolava: l’antipartitismo. Innanzitutto, «sfatiamo un mito»: il M5S è un partito a tutti gli effetti. Il che non va preso come una offesa, una delegittimazione o chissà cos’altro. E’ un partito perchè così si chiamano le organizzazioni che entrano nelle istituzioni. Nello specifico: il partito è quell’organizzazione che, mediante elezioni, riesce a collocare candidati alle cariche pubbliche. Inoltre, il partito presenta tre pilastri: i rappresentanti istituzionali, la base elettorale (militanti, attivisti ecc.) e la classe dirigente. Il movimento invece non entra nelle istituzioni, si fa portatore di determinate istanze e, una volta realizzati i propri obiettivi, si spegne. Altro segno distintivo: non fare nessuna alleanza, aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno, fare riforme costituzionali. In poche parole: la Rivoluzione. Bisogna chiederci come è possibile fare tutto ciò da soli: non sarebbe corretto che a modificare la Costituzione fosse un solo partito (la Costituzione è il risultato del lavoro congiunto di partiti molto diversi tra loro: Partito Comunista Italiano, Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano e altri) perchè si tratta della Carta di tutti gli italiani; per aprire il Parlamento come una scatola di tonno è necessario occupare posti di governo. Allora, vista la situazione, perchè dire no ad un eventuale ticket Prodi – Rodotà, ad una collaborazione su 8 punti di cambiamento, ad una fiducia ad un governo PD, consapevoli di poter staccare la spina in qualsiasi momento? A cosa è servito arroccarsi in nome di una coerenza che ha prevalso sulle emergenze degli italiani, in nome di un superamento della contrapposizione destra – sinistra (superamento che, in realtà possiamo dire che si è già verificato in alcuni periodi della storia repubblicana: si pensi alla lotta al terrorismo ). Non basta dire che i grillini portano proposte lodevoli in Parlamento, che puntualmente vengono bocciate. La bocciatura (purtroppo) è quasi obbligata. Non avrebbe senso che il PD voti a favore di una proposta del M5S, consapevoli che un minuto dopo finirà l’esperienza di governo, si tornerà a votare con la medesima legge, e si riotterrà l’ingovernabilità. Il lavoro parlamentare è una cosa seria, non è solo proposte e alzate di mano. E’ necessario prima creare un progetto comune, che possa garantire continuità alla propria azione. E questo (duole dirlo), Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio non l’hanno capito. Si pensi alla questione della Bretella: il 2 agosto 2013 il CIPE ha approvato in via definitiva la realizzazione della Cisterna – Valmontone, un’opera faraonica sostenuta da PD e PDL, che tra i tanti problemi che presenta, mette a repentaglio la sopravvivenza del Monumento Naturale “Lago di Giulianello” e l’economia di una comunità, basata sul biologico. Tra i sostenitori del NO ci sono anche tesserati del Partito Democratico (il sottoscritto compreso) e di altri partiti. Quello che però sto notando è che ormai non contano più le posizioni personali. Basta avere una tessera di partito per essere «aggrediti» verbalmente (la cosiddetta politica dei “vaffa”). Ormai è consuetudine che, se vuoi cambiare le cose, non devi far parte dei partiti.. Il CIPE è il Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica ed è composto da ministri vari. Tra questi ministri, potevano esserci rappresentanti di PD, SEL e M5S. Se solo qualche mese fa, piuttosto che umiliare gli avversari in diretta streaming o chiudersi a guscio senza accettare patti di legislatura, ci fosse stata una sintesi delle proprie posizioni, ora non staremmo più a parlare di un’opera inutile e dannosa per l’ambiente e la salute dei cittadini. Ora non staremmo più a parlare di Silvio e delle sue magagne. Saremmo stati a parlare di come valorizzare un patrimonio naturalistico, senza alcuna preoccupazione da parte dei politici del cemento. Saremmo stati a parlare di un’Italia un po’ più bella.

Grazie a chi se n’è fregato.

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