Il «cancro» del vandalismo

Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. […] Bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore “. Così, Peppino Impastato si esprimeva sulla bellezza. Sicuramente a parole siamo tutti concordi nel dire che bella è una pianta in fiore e non una pianta essiccata, che bello è un quadro privo di sbavature o imperfezioni, che l’antica Pompei è bella quando è mantenuta bene ecc. Trasformare le parole in fatti è il passo più difficile. Però, conoscendo le esperienze di gestione della Sala – Lettura, del recupero delle aree verdi urbane ecc., possiamo dire che questo passo dalle parti nostre è stato fatto. Giusto per fare un esempio: è vero o non è vero che il Parco Fratelli Cervi è più bello ora, con l’erba tagliata, i cestini e i fari notturni, rispetto a prima, dove erba alta e spazzatura varia la facevano da padrone? Ma recuperare è un conto, mantenere è un altro. Lo sanno bene i membri del Gruppo Montagna 1, che più volte hanno dovuto sopportare gli atti scellerati di chi gli piace danneggiare; lo sa bene il circolo Legambiente Cora Viridis, costretta ad assistere a stupidi furti di piante d’alloro, a cestini rubati e fari distrutti. E’ quello che comunemente viene chiamato vandalismo (termine utilizzato per la prima volta dall’abate francese Henry Grégoire, vescovo costituzionale di Blois che, nel 1794, durante la Rivoluzione Francese lo utilizzò per denunciare l’operato dell’esercito repubblicano a danno di chiese, monumenti e opere d’arte, richiamando le invasioni barbariche dei Vandali nel V sec. d.C.). Il vandalismo è un cancro della nostra civiltà, un male figlio di una ridottissima minoranza. Eppure, questa minoranza ha la capacità di mettere con le spalle al muro la stragrande maggioranza della gente per bene. Basta che una sola persona decida di spaccare un faro al parco “Fratelli Cervi” per sentir dire: «Cori è un paese di me***». Ecco, questa frase non andrebbe mai detta, perchè significherebbe alzare bandiera bianca. E’ il momento di cominciare a ricordare a questi «geni del male» che azioni del genere danneggiano l’immagine della città e di chi la vie, ma soprattutto obbligano l’amministrazione a spese extra per rimediare ai danni. Spese che pesano sulle tasche delle nostre famiglie, costrette a vedere parte delle loro tasse destinate 1, 2, 3 volte all’anno ( se non di più) a sostituire (giusto per fare un esempio) una panchina devastata in località Pratone. Soldi che potrebbero tranquillamente essere destinati ad altri usi. Quando si intende perseguire un bene collettivo, in scienza politica si parla di free riders: ci sono persone che non contribuiscono attivamente a raggiungere l’obiettivo, ma che ottengono i medesimi benefici di chi invece ha sudato. Cerchiamo di cambiare un po’ questa tesi. C’è un’azione che una intera comunità può benissimo fare, senza particolare sforzo. Un’azione fondamentale a garantire la bellezza di un luogo: non toccare nulla, se si sa che poi si farà danno.

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