Grazie Cecile!

 

Pur trattandosi di un governo contraddittorio, ove le politiche di centrosinistra dovevano per forza di cose mescolarsi con quelle di centrodestra, la squadra ministeriale capitanata per un anno da Enrico Letta aveva introdotto un elemento di innovazione che aveva permesso al nostro Paese di affrontare (finalmente) la questione dell’integrazione e del razzismo. Ci vuole poco, partendo da queste parole, per arrivare al tema centrale del discorso: il Ministero dell’Integrazione di Cecile Kyenge. Originaria della Repubblica Democratica del Congo, laureata in Medicina e Chirurgia presso l’Università Cattolica di Roma e specializzatasi in Oculistica all’Università di Modena, giurando di rispettare la Costituzione Italiana diventava la prima persona (e di colore) ad assumere il debuttante dicastero dell’Integrazione. Improvvisamente, forse anche un po’ a sorpresa, la politica leghista, dei razzisti e dei “non sono razzista ma…” dovette scontrarsi di petto con questa nuova
realtà. Immigrazione, clandestinità e tante altre tematiche inerenti tale ambito diventavano di primo piano nella vita degli italiani mentre, fino al giorno prima, le azioni concrete portate avanti da organizzazioni non governative, da enti locali, dall’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, sotto la Presidenza del Consiglio), pur lodevolissime, restavano inferiori (senza offesa per
chi le promuove) alle tante, tantissime parole spese nell’immaginario collettivo. La ministra aveva un arduo compito: far comprendere ai cittadini che gli «status» di immigrato, di straniero o persona clandestina non sono sinonimi di delinquenza, criminalità e sottrazione del lavoro agli italiani. Il difficile percorso era iniziato e la ministra, convegno dopo convegno, raccoglieva vittorie su vittorie: il lancio di banane, la definizione di «orango tango» alla sua persona (è doverosa una precisazione: gli orango tango sono animali di colore arancione, la ministra – purtroppo per i deficienti – è di pelle nera), i link condivisi sui social network che gli attribuivano frasi prive di fondamento (es.: la Kyenge, secondo taluni, aveva dichiarato di voler abbattere il Colosseo) etc.
erano offese pesanti che però nascondevano il fatto che il nervo era stato finalmente toccato. Un po’ come successe con le bombe mafiose, che fecero comprendere la difficoltà di Cosa Nostra nel difendere il suo potere (scusate se oso tanto). E poi, finalmente, le timide statistiche favorevoli all’Integrazione cominciavano ad avere una luce sempre più grande e forte: gli immigrati costa(va)no allo Stato italiano 11,9 miliardi l’anno ma ne rendevano 13 (1, 4 miliardi di euro nelle casse dello Stato grazie a loro!), i luoghi comuni cominciavano a cadere uno dopo l’altro( la clandestinità non era più vista solo come reato, ma una situazione temporanea – nella stragrande maggioranza dei casi – da regolarizzare il prima possibile…). E poi, i risultati che non sono arrivati, ma che comunque (sono sicuro), la Kyenge avrebbe prodotto prima o poi: lo Ius Soli, l’essere italiani per nascita indipendentemente dalla cittadinanza dei propri genitori; mettere una pietra tombale sulla Bossi – Fini, perchè non si può imporre all’immigrato di lavorare per ottenere un permesso di soggiorno in un periodo in cui il desiderio di lavorare è comune a milioni e milioni di disoccupati, perchè è inammissibile trattare il clandestino come reo (oggi, il reato è ridimensionato a illecito amministrativo). E, sicuramente, tanto altro. La decisione dell’attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi di non confermare tale dicastero, rischia insomma di riportare un po’
nell’oblio le varie questioni spolverate in questo ultimo anno di politica italiana. Ovviamente, spero che la mia sia una paura infondata.
Intanto, grazie di tutto Cecile!

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