Le larghe intese come corresponsabili dei nuovi fascismi

Ci eravamo illusi. La vittoria di Macron e i risultati al di sotto delle aspettative del Front National in Francia, i passi in avanti un po’ azzoppati di Willers in Olanda e il crollo di consenso dello UKIP in Gran Bretagna, sembravano eventi in grado di poter dire che l’Unione Europea era entrata nella fase della riscossa. Le elezioni politiche in Germania, in tale contesto, potevano passare (ironia della sorte) per la presa di Berlino e la capitolazione dei populismi. Invece, non è stato affatto così. Ad uscirne con le ossa rotte sono stati i principali partiti del Paese: la CDU di Angela Merkel (vincitrice ma con un consenso ridottosi del 10%) e l’SPD di Schulz, la cui formazione politica ha raggiunto il minimo storico. Dal dopoguerra ad oggi, mai un partito di estrema destra era riuscito ad entrare nel Bundestag, il Parlamento tedesco. Questa volta, ce l’ha fatta l’AFD di Alice Weidel, ottenendo un risultato in doppia cifra e probabilmente molto al di sopra delle aspettative: 12,6% e 94 seggi, triplicando quanto ottenuto nella campagna elettorale precedente. I populismi, dunque, rialzano la testa, proprio nella terra dove si confrontavano due candidati europeisti conosciuti e rispettati, che sembravano capaci di ridimensionare il fenomeno di estrema destra. Come detto all’inizio, si è trattato di una triste illusione: la realtà, sotto i nostri occhi, si è presentata in forma molto diversa. Senza necessità di fare un’analisi politica approfondita, è sufficiente evidenziare i probabili motivi che hanno portato a questo stravolgimento politico nel panorama tedesco. Innanzitutto, è emblematico l’intervento di Schulz dopo le prime proiezioni. Il candidato alla cancelleria, infatti, ha annunciato la fine delle larghe intese con la CDU e il ritorno all’opposizione da parte dell’SPD. L’annuncio è stato accolto dai sostenitori con applausi e urla di giubilo, chiaro messaggio a coloro che in questi anni hanno spinto per governare con i conservatori. In più, le questioni economiche e sociali che i tempi di oggi ci pongono, non sembrano trovare risposte nella politica tradizionale, ma nel frattempo individuano un megafono per ampliare la loro voce nella estrema destra. Sembra un paradosso, ma ormai è una costante: i socialisti europei non riescono più ad essere portavoce dei disagi delle persone (vedasi l’umiliazione del PS francese e il pessimo risultato di Schulz). Nel frattempo (forse unica nota positiva), Melenchon fa l’exploit in Francia, mentre la LINKE e i Verdi crescono timidamente in Germania. Non c’è poi da dimenticare la rimonta di Corbyn in Gran Bretagna. Nella sfera della sinistra, insomma, sembra realizzarsi un processo volto a trovare nuovi attori protagonisti della lotta contro il populismo. Nel frattempo, questi lotta a testa alta. Una cosa è comunque certa: le larghe intese, nate per contrastare il populismo, si stanno rivelando le maggiori artefici della crescita esponenziale dell’estremismo. Oggi lo abbiamo verificato in Germania, ma in passato l’Italia ha già dimostrato questa situazione, con la crescita del M5S prima e il decollo delle forze sovraniste poi (in primis, la Lega Nord). Da quando i partiti hanno smesso di fare politica e si sono dati alla responsabilità, con compromessi di governo al ribasso con forze politiche opposte, a trarne giovamento sono state quelle formazioni che hanno sempre rifiutato accordi del genere, portando avanti i loro programmi e le loro idee. L’auspicio, dunque, è quello di tornare il prima possibile ad una dialettica politica caratterizzata da blocchi contrapposti e coerenti nei loro piani, dove la destra fa la destra e la sinistra fa la sinistra. In Germania, l’SPD sembra averlo capito, mentre Angela Merkel ancora no, viste le sue intenzioni di perseverare nelle larghe intese. In Italia, come nostro solito, siamo ancora più indietro: il PD ormai preferisce Alfano alla sinistra, mentre questa continua nella sua eterna frammentazione. Dall’altra parte, invece, un progetto di centrodestra moderata è riposto nelle mani del solito Silvio Berlusconi, ben lontano però da quello del 1994 e dei primi anni Duemila. In tutto ciò, comunque, il senso di responsabilità è diventato corresponsabile dell’emergere dei nuovi fascismi.