Loro non ci hanno dimenticato

Ogni tanto capitava di giocare a calcio con i cassonetti della differenziata. Non di rado, il pallone finiva lì dentro. Se si era fortunati, il cassonetto era pieno e ci permetteva di recuperarlo facilmente. Quando era vuoto, invece, il recupero si presentava più difficoltoso e bisognava utilizzare una scopa, un bastone o un qualcosa in grado di fungere da “gancio”. Un giorno, ci venne in aiuto un signore anziano che abitava da quelle parti. Era Ermerindo, che vedendoci in difficoltà nel riprendere il pallone, finito nel secchione della carta, uscì di casa, lo “pescò” e ce lo diede. Ermerindo era solo uno dei tanti anziani che popolavano il luogo e che ci hanno visto crescere. Quasi quotidianamente, infatti, specie in primavera e in estate, si radunavano in una zona ombreggiata, muniti di sedie, e iniziavano a parlare tra di loro, allo scopo di passare un po’ di tempo in compagnia. Nel mentre, noi giocavamo e ogni tanto andavamo da loro per condividere un po’ di divertimento “intergenerazionale”. Oggi, quegli scambi di chiacchiere e risate non esistono più. Buona parte di quelle persone sono morte: se ne è andato Ermerindo; ci ha lasciato Giuseppina, che seppur non facente parte di quel “cenacolo”, era diventata una persona molto nota e rispettata per il suo talento poetico e per la solidità delle sue idee. Sempre fuori da quel contesto, ma non per questo da dimenticare, è Antonella, andatasene troppo presto causa una grave malattia. Del “cenacolo” di cui si diceva prima, ci sono altre due bandiere da annoverare: Nella e Pino. Moglie e marito, hanno lasciato questo mondo pochi anni fa, a distanza di poco tempo l’uno dall’altra. Fino all’ultimo, però, nonostante una memoria debilitata dalla vecchiaia, si sono ricordati di noi. Una volta, mi capitò di vedere Nella al pronto soccorso di Cori. Forse fu il nostro ultimo incontro. Io e mio padre la salutammo, lei ci impiegò un po’ a capire chi eravamo ma, appena ci riuscì, mandò i suoi saluti a tutta la nostra famiglia. Una scena simile capitò, qualche tempo dopo, con Pino. Era una delle ultime volte che si sarebbe fatto vedere dal balcone di casa sua. Un giorno lo vidi lì, seduto a prendere una boccata d’aria. Lo salutai, mi chiese chi ero e gli dissi che ero figlio a Bruno, l’“infermiere”. Senza dire altro, si ricordò di mia madre e di mio fratello. Come fece Nella, mi disse di mandare loro i suoi saluti. Queste persone sono solo alcuni dei nomi che ci hanno lasciato (altre si sono trasferite in altri lidi), ma che hanno comunque contribuito a scrivere un pezzo di vita in quel luogo. Non ci hanno dimenticato; lo stesso dovremo fare noi.