«MAMMA GOODYEAR»

 Le industrie sembravano dover portare benessere e ricchezza economica ai territori ove si installavano. Sembravano dover realizzare il sogno di un mondo ove la povertà veniva sconfitta per lasciare il posto ad una società benestante. Queste belle speranze sono diventate illusioni svanite nel giro di mezzo secolo, sostituite da uno scenario spesso raccapricciante e tragico. Basta fare un tour nella Provincia di Latina, importante polo industriale del Centro – Italia campato per anni grazie ai fondi della Cassa del Mezzogiorno, e ora ridotto ad una miriade di capannoni abbandonati e non tutti bonificati, alle tragedie dei lavoratori che hanno perso il loro posto di lavoro, consapevoli che sarà ben difficile trovarne un altro, specie se in età avanzata. Sarebbe «bello» se i guai fossero solo questi. Simbolo dello sviluppo industriale è anche la centrale nucleare di Borgo Sabotino, la prima realizzata in Italia (1963) per poi essere chiusa nel 1987 in seguito al referendum. Ricchezza e autonomia energetica, ma anche danni ambientali e problemi fisici per moltissime persone dei territori limitrofi. Insomma, benessere economico e salute non sembrano andare d’accordo quando questo rapporto è gestito dalle macchine. E spesso la seconda soccombe. Lo sanno benissimo gli operai della GoodYear di Cisterna di Latina, comune dell’omonima provincia.

E’ il 1965, la GoodYear (fabbrica che produce pneumatici) instaura a Cisterna una sua filiale. Parte l’era industriale nella giovane provincia pontina: migliaia di persone trovano occupazione, centinaia e centinaia di famiglie possono ora guardare al futuro con maggiore sicurezza. Nasce il mito di «Mamma Goodyear», colei che si occupa delle prospettive economiche dei suoi figli, i lavoratori. Ma, con il passare degli anni, quell’oro luccicante che le gomme portavano si trasforma in veleno. La fabbrica contiene amianto, le polveri sottili che il lavoro produce non hanno problemi ad inserirsi nelle vie respiratorie degli operai, privi di qualsiasi protezione. Non solo: i controlli ASL vengono pre-annunciati, così la dirigenza ha tutto il tempo per comunicare agli operai la necessità di ridurre i ritmi di lavoro. Perchè gli ispettori devono trovarsi dinanzi ad un edificio pulito e a norma, altrimenti si chiude baracca e battenti. Si arriva così al 2000, il momento in cui la «mamma» decide di abbandonare i suoi «figli» ed andarsene all’est, dove la manodopera ha un costo minore e le leggi sulla sicurezza sono molto più deboli. Ma, molti operai cominciano ad accusare, quasi contemporaneamente, forti problemi di salute. E, sempre quasi contemporaneamente, cominciano ad andarsene. Coincidenze? Forse. Ma un operaio, nonché rappresentante sindacale, all’inizio del nuovo millennio comincia a raccogliere nomi, cognomi e cartelle cliniche dei colleghi che si ammalano. Gli operai morivano, ma le cartelle cliniche non evidenziavano particolari problemi. Ma allora, come si fa a spostare un lavoratore con cartelle cliniche con risultati negativi (sanitariamente parlando) da un settore della fabbrica ad uno più leggero, perchè colpito da problemi fisici? Insomma, tante cose non tornano. Così, si decide di passare per la via giudiziaria. Stoppiamo qui il racconto, vi spiego subito il perchè. Tutto ciò che avete letto fino ad ora altro non è che una (piccolissima) parte del film – documentario «Happy GoodYear», realizzato dalla «SoundCrime» e proiettato in anteprima al Cinema «Oxer» di Latina sabato 3 maggio 2014 e destinato a girare il BelPaese. Si tratta di un progetto importante, in quanto permette – per la prima volta – alla questione di oltrepassare i confini pontini e toccare tutta la penisola. Soprattutto, permetterà alle coscienze di rispolverare tematiche come la sicurezza sul lavoro, lo sviluppo sostenibile etc. Perchè in un paese civile come dovrebbe essere il nostro, il lavoro deve essere un diritto che tuteli l’economia delle persone senza intaccarne la salute. Insomma, firmare un contratto e non una condanna a morte.

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